Neoludica. Ufficialmente parlando esistono solo dieci forme d’arte, ma fin dalla sua nascita il videogioco non ha fatto altro che testare i propri limiti spingendosi sempre più fuori da quelli di mero passatempo

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Neoludica è ancora, purtroppo, una conoscenza di nicchia ma non per questo la sua importanza è da sottovalutare e nonostante abbia potuto assistere solo a due dei quattro giorni dell’evento farò del mio meglio per raccontarvelo.

Neoludica è un evento che riunisce sviluppatori, artisti e guru dei videogiochi in un unico posto: permettere incontri e scambi di idee scatenando quel potenziale artistico e videoludico che altrimenti rimarrebbe inespresso. Gli aspiranti artisti e sviluppatori, infatti, hanno la possibilità di incontrare faccia a faccia alcuni esperti del settore per riceverne consigli e ispirazioni o semplicemente per togliersi qualche dubbio o strappare qualche autografo. L’intero evento ha avuto luogo sulla piccola isola di San Servolo, un isolotto rettangolare originariamente sede di un convento di suore benedettine che diventò il manicomio di Venezia dal 1800 al 1994, quando venne chiuso in seguito all’approvazione della legge Basaglia ma ad oggi si preferisce usarlo come albergo e succursale dell’Accademia delle Belle arti.

L’isola è collegata a Venezia da un solo vaporetto e molta della sua superficie è ricoperta da un unico grande parco ricco di alberi (ricchi di cicale) che difendono dal sole e dall’umidità, rendendo l’area perfetta per lo studio, per il disegno o più semplicemente per rilassarsi qualche ora lontani ma non troppo dalla città.

Ad intervallare il verde in modo non troppo invadente ci sono alcuni edifici, ognuno con una sua funzione e ognuno con il nome di un vento: Grecale, Maestrale, Boreale, e via dicendo; nel nostro caso quello che ci interessa sarà il Grecale.
Nel grecale infatti era possibile entrare dal giardino accedendo a tre sale espositive e lasciandosi stupire dalla qualità delle opere d’arte videoludica presenti.

Molte delle opere erano chiari esempi della cosiddetta pixelart, che riproduce immagini di varia natura ma sempre rigorosamente composte da pixel, un po’ come facevano originariamente i puntinisti ma partendo dalla grafica 8bit anziché dall’impressionismo, in certi casi anche passando da una precisa limitazione dei colori che riprenda quelli delle prime piattaforme di gioco.

Generalmente vengono rappresentati personaggi o situazioni tratti dai videogiochi ma non necessariamente: in una delle sale si poteva ammirare una “Grande onda di Kanagawa” (capolavoro dell’arte giapponese del maestro Hokusai) nelle nuove vesti di schermata di gioco, con i classici colori verde-nero del primo gameboy, oppure un remake dell’album “Remain in Light” dei Talking Heads (gruppo rock statunitense attivo negli anni ’70-’80) rinominati per l’occasione Doom Heads, ispirandosi al Doomguy protagonista di DOOM , uno dei giochi sparatutto più influenti di sempre, o ancora un’ampia veduta della cattedrale di Notre Dame in preda alla rivoluzione tratta da Assassin’s Creed: Revolution.

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Naturalmente erano presenti anche stili più classici, opere di pittura e di scultura (per così dire) ed era anche possibile chiacchierare con gli autori stessi, alcuni dei quali puntavano chiaramente a diventare concept artist per le grandi case di sviluppo e occuparsi della creazione di mondi e personaggi videoludici.

Una delle case in questione era rappresentata dal suo Art Director in persona: Raphael Lacoste della Ubisoft che, insieme al suo collega italiano Mauro Perini, ha tenuto una conferenza sullo sviluppo dell’arte alle spalle di un videogioco, con diversi esempi di evoluzione di un concetto e racconti di vita vissuta ci ha mostrato le gioie e i dolori del suo lavoro.

In particolare ha posto l’accento su come a volte sia necessario abbandonare completamente un’idea praticamente definitiva per ricominciare da zero e di quanto lavoro serva anche per i lavori più apparentemente semplici; Mauro Perini ha poi dato una lunga serie di consigli su come presentarsi al meglio alle aziende del settore, evitando gli errori più frequenti e banali.

Essendo Neoludica un evento dedicato all’arte dei videogiochi naturalmente non poteva mancare una sala dedicata agli stessi che spesso dimostravano un grande sforzo proprio dal punto di vista artistico e stilistico; questo anche perché erano tutti giochi di team indipendenti che in certi casi presentavano il loro primo lavoro.

Fra i vari vale la pena ricordarne alcuni:

MilaNoir, uno sparatutto in pixelart ispirato ai film polizieschi italiani degli anni ’60-’70 con visuale semi-isometrica ambientato in una Milano hardboiled invasa dai criminali in cui il giocatore dovrà correre e rotolare sparando con precisione attraverso svariati luoghi iconici della città come i navigli, la torre Velasca e tanti altri.

Little Briar Rose, una fiaba punta e clicca in cui, interpretando un principe dopo l’altro, si salverà infine la bella principessa addormentata; le maggiori peculiarità del gioco sono la possibilità di continuare l’avventura anche nel caso in cui il principe baldo e bello dovesse fare una brutta fine (venendo prontamente sostituito da un altro principe altrettanto baldo e bello) e l’aspetto grafico che riprende le splendide sequenze di inizio dei più classici fra i cartoni Disney, “La bella addormentata nel bosco” e “La bella e la bestia”, che a loro volta si rifanno alle coloratissime vetrate gotiche di tutta europa.

N.E.R.O.: Nothig Ever Remains Obscure è un gioco in prima persona già vincitore di un Drago d’Oro (l’oscar italiano per videogiochi) basato sulla risoluzione di puzzle ambientati in un mondo splendidamente onirico avvolto nel buio, ricco di dettagli e di misteri in cui ogni cosa si ricollega al protagonista e al suo passato.

I giochi, le opere, le foto, gli incontri, le conferenze, gli autografi, le interviste, le serate in città.
In quei pochi giorni di Neoludica si sono viste e fatte tantissime cose ma se il tempo è tiranno anche lo spazio non è da meno per cui, volente o nolente, vi lascio a una piccola galleria di foto di Venezia e di quel che Venezia ha avuto da offrire.

Stefano Dalmonte per Tivoo

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